L’acciaio insistente penetra queste gialle fette di corpo, con un tale ardore, che la sola fame di cibo non basta a giustificarlo.
L’appetito di emozioni immerge questo fotogramma, che spazia dalla crosta calda fino alla ceramica rumorosa, in un contesto superiore.
Come esili alberelli primaverili, che piangono polline nel ritmo sordo di una fiaba orientale.
Le punte di metallo si nutrono della goduria sadica di questa autopsia, ed io vi aggiungo ingordi sorsi di questo sangue a poco prezzo, combustibile dei miei prossimi viaggi di stoffa.
Ed il profumo della terra sulla quale è costruito il pavimento che mi sostiene, afferma che essa non ha un nome, per così facilmente annichilire le distanze di questo mondo fondato sulla cenere e sulla dispersione.
Ed anche i poli di questo pianeta, così ugualmente dissimili, potrebbero azzardare un bacio.