sabato 9 luglio 2011

Le mirabolanti avventure di Minervini Giuseppini...





"VISTO che quel giorno stavo andando a trovare mio zio a Civitavecchia, primo cuoco sulla flotta Grimaldi, non mangiavo un piatto di pasta da almeno una settimana, ed anche per questo avevo fretta e non potevo notare che la vostra obliteratrice non mi aveva timbrato il biglietto della metro che avevo acquistato apposta;
VISTO che siete l’azienda di trasporto pubblico meno efficiente tra tutte le capitali europee dei paesi più industrializzati e che in ogni caso un viaggio Stazione Piazza Bologna – Stazione Tiburtina, in quelle condizioni, non vale un euro neanche se me lo regalate prima;
CONSIDERATO che io vi ho inviato gli scritti difensivi entro i 30 giorni, certo non due giorni dopo perché al contrario vostro avevo da fare, ma voi li avete individuati e letti probabilmente con la stessa velocità dei vostri mezzi pubblici;
TENUTO CONTO che il controllore che mi ha detto di fare ricorso nei migliore dei casi è un imbecille;
RITENUTO pertanto giusto rendere pubblico che siete dei FESSI.
MINERVINI GIUSEPPINI vi dice Ciao Ciao, instancabili dirigenti dell’ATAC S.P.A. e vi comunica che non pagherà un cavolo di nulla da qui all’avvenire, e se non vi sta bene venitemi a cercare e fatemi arrestare, rinchiudetemi in una cella e buttate la chiave, sapete dove trovarmi, basterà chiedere di MINERVINI GIUSEPPINI, non potete sbagliare."


E' mio dovere precisare che le parole scritte, alcune delle quali potrebbero risultare offensive, non sono mie, ma sono del mio quasi omonimo Minervini Giuseppini che mi ha riferito di tenerci particolarmente alla paternità del testo ed alle responsabilità derivanti.


lunedì 4 luglio 2011

Frank


Frank, uomo di successo, troppo rapido e squillante per chiamarsi Francesco, per cui “Frank”, come “Flash” era la parola che lo descriveva e lo vestiva come il lampo veste il temporale.

Lui veloce come il lampo, veloce come il bavero della sua polo, fresco nella calura e nella puzza, fresco di dopobarba e di vigorsol, veloce come labbra schiacciate in una smorfia pratica, rapido come l’ennesima ultima occasione, col vento in faccia, per succhiare le ultime gocce di un Energy drink, troppo lente anche per il funerale della lattina.

Bavero di lamiera accartocciata con fragore.

Frank, con il bavero della sua polo alzata, veloce come il fresco, come il brivido, fuori dallo sportello della metro, e la gente si discosta, troppo avanti per essere futurista.

Mettersi contro di lui è un’unghia che si spacca sulla lavagna che stride e piange, lacrime di gesso masticato prima di uno schiaffo inaspettato in pieno viso.

Frank imprenditore di successo, col suo rolex freddo come il ghiaccio che scintilla e pugnala gli occhi non attenti che tergiversano in prossimità del vagone, ma gli occhi di frank targati Sergio Tacchini, anonimi come la morte, guardano solo il domani e mai la feccia.

Fluttua sulla banchina, Frank, freccia tricolore di dopobarba, nessuno lo può fermare, nessuno non può notare Frank, glaciale come l’imprevisto, livido spavento aerodinamico con il bavero alzato.

Nero come la morte, aerodinamico come il suo naso, lucido, asettico pungente, nella sua velocità strappò l’anima ad una zingara come un dente estratto nel buio.

Appuntito come l’apice di una piramide, frank non si curò di nulla, non si può chiedere l’elemosina a Frank, iceberg degli affari, Gillette delle situazioni, nelle sue tasche solo banconote dritte come katane che affettano le carni ed anche il destino.

Frank, arciere del lavoro, agguato di nervi, congelatore di fatica, lui guida qualunque macchina e la spreme all’eccesso, cavallo vapore alato, uomo del monte dei lamenti, vampiro di sudore e di giovinezza.

Stazione piramide, raggi di sole sull’appuntito monumento, e Frank, passo rapido verso l’ufficio, le penne ed i righelli sulla scrivania, segretaria con i tacchi a spillo, fodero del cazzo di Frank, veloce come l’intenzione con la sua scia di dopobarba.

Nessuno può bloccare Frank, lui scivola sul binario con un treno argentato senza fuggire, ma dichiarando guerra all’avvenire e caricando nella medesima direzione. Sfreccia e se qualcuno si oppone lo condannerà il pavimento, freddo come il cuore di Frank, e ripensarci è inutile, il passato è inutile di fronte alla velocità.

Frank non fugge, lui è veloce sempre, rapido deciso.

Frank sulla Bmw, fredda come l’inaspettato, oltre il muro del suono, dietro la coda dell’occhio, Bmw nera come la morte, raschia le strisce di rosso fresco, rosso giovane, ma troppo lento per Frank.

Non si può essere lenti con Frank, non esiste ragione, il pubblico va pugnalato e inchiodato al muro che sorregge la schiena, il pubblico non deve più muoversi, affascinato dall’infinito e deve succhiare impotente il coito dell’idea, vispa, implacabile, e se non sei capace e se non sei veloce, rapidi calci nel fegato ti alzano da terra ed oltre la terra per volare oltre l’uscio, come l’aria, perché invece di essere aria dovevi essere vento.

Il mercato non aspetta, la produzione non aspetta, la vita non aspetta e neanche la strada.

Frank non vede le strisce, lui ha il bavero alzato, strizza gli occhi di Sergio Tacchini solo per contemplare l’avvenire che gli schizza energia nei nervi, adagiati e freschi sulla pelle nera della BMW.

Ed i moscerini sul parabrezza hanno la stessa consistenza dell’aria.

E due bambini sotto le ruote non avrebbero importanza se non fosse per lo stupro alla carrozzeria, nera come le grida di disperazione, veloce come il prossimo angolo a destra.

Viale Ostiense, i raggi di sole non penetrano lo sguardo di Sergio Tacchini ma lo stridore delle sirene oltrepassa il bavero alzato di Frank e gli lacera le orecchie, adesso un imprevisto negli affari gli stinge i polsi con un freddo metallo, freddo più del cuore di Frank, e lo chiama “bastardo” e dice “ma quanto cazzo di dopobarba ti sei messo, figlio di puttana”

Mettersi contro di lui è come un viso che si spacca sul marciapiede.

Frank.

Nuvole lente su un insignificante paesaggio dipinto di un'insopportabile tinta di ozio e di vita in prestito, intervallate da pesanti interruzioni di metallo, calde di giorno e fredde di notte.

Atrocemente uguali come i giorni che Frank non ha mai vissuto.

Frank, senza bavero e senza vento sulla faccia, ma col cuore veloce come la BMW con la quale strappò sull’asfalto due piccole vite, come il sangue di queste sul parafanghi, conosce ancora la rapidità, che cattura l'affare come la corda stringe le giugulari del puledro selvaggio.

Cercando un ultimo rapido sogno appuntito, afferra la matita, veloce come labbra contratte in una smorfia di dolore e si apre un nuovo respiro dalla gola, accettando il compromesso di una morte lenta, purchè sia più veloce di un altro giorno tra questi ultimi, vuoti e inutili.

Purchè sia più veloce di una consapevole sconfitta.