sabato 4 gennaio 2014

Sul Viale










Era fine settembre e quel giorno aveva iniziato a fare freddo.
Tutti erano già molto coperti, tranne me e Ralf.
Sedevamo sulla panchina del Viale Maggiore sorseggiando del liquore al rabarbaro sottratto senza vergogna dalla casa della nonna di Balimme, dopo il pranzo che l’anziana signora ci aveva offerto per averle riparato il televisore.
I nostri discorsi così tipicamente consueti, fluttuavano tra le nostre bocche senza fretta o esasperazione e non pochi erano i momenti di silenzio in cui rimanevamo a contemplare le foglie che si alzavano dalle aiuole per accompagnare le gonne bianche delle ragazze dal passo svelto.
Ralf stava osservando il calare del sole, che rifletteva luce calda attraverso le sue sopracciglia bionde sotto le quali le pupille sparivano in due occhi di rame.
Dietro di lui si agitava in lontananza un uomo con una giacca di jeans, scuotendo due braccia talmente lunghe che poteva sembrare stesse per spiccare il volo.
Chiamai Ralf per nome, scuotendolo per attirare la sua attenzione verso il tizio alle sue spalle, ma Ralf era già morto e il suo corpo si riversò in avanti, rotolandosi ai piedi della panchina.
Non ricordo esattamente cosa feci, ma seppur angosciato provai di tutto, sicuramente gli urlai sulla faccia, lo schiaffeggiai, provai a chiedere aiuto a qualche passante.
In effetti c’era parecchia gente in giro, una folla cresciuta a dismisura da un momento all’altro, ed erano tutti di corsa per quel viale, terrorizzati ed incuranti travolgevano fioriere, cassonetti, passeggini e persone già cadute.
Non riuscivo a capire da cosa fuggissero, non riuscivo a capire molto in realtà, neanche cosa fosse successo a Ralf che solo pochi attimi prima parlava ancora del suo domani.
Il sole era già calato ed al suo posto alcuni bagliori rossi dipingevano ad intervalli poco regolari le facciate dei palazzi ed i tronchi degli alberi, sotto i quali le ombre sottili dei cappotti spiegazzati tremolavano ed urlavano con differenti timbri di tonalità.
Anche io venni travolto e quando si viene travolti può capitare di abbandonarsi all’idea di essere trasportati involontariamente da una corrente naturale, senza registrare un eventuale ricordo sul dolore delle costole rotte e degli arti spezzati o sulla macchia umida del liquore al rabarbaro versato sui pantaloni, ma sulle immagini frammentate che gli occhi riescono a catturare nel momento in cui vengono annientati i filtri critici del comportamento personale, dietro i quali quasi sempre ci obblighiamo a nasconderci.
Perciò prima di venire inghiottito dalla folla che mi tolse la luce, vidi i vetri rotti della ricevitoria, poi la grondaia del palazzo con alcuni adesivi incollati sopra, l’estremità del lampione in ferro battuto con sottili macchie rosse cadute durante la verniciatura delle ringhiere in alto, poi un balcone al secondo piano da cui una bambina lanciava petali di geranio e mi guardava come fossi la superficie di un ruscello appena scorto tra i cespugli.