giovedì 15 aprile 2010

ruggini catalogate senza criterio attraverso lo spazio ed il tempo







Ettore

Ettore andava in ricevitoria per pagare la bolletta della luce.

Gli sarebbe piaciuto rimanere a casa per finire il videogioco a cui giocava da tempi immemorabili.

Ben due giorni.

Non aveva voglia di andare in ricevitoria, non aveva voglia di camminare, di muoversi, di respirare.

Questa ottusa umidità.

Questa umida ottusità.

Ettore odiava più del solito il prurito dell’etichetta della sua maglietta.

Smorfie di fastidio si intrecciavano in rughe da belva poco credibile.

E mentre si ricontrollava in tasca il bollettino, una goccia di qualcosa nel suo colletto, ciliegina su una torta di frustrazione spicciola.

Quello che fu del resto della sua giornata fu di poco conto come tutto questo.

Una zanzara una volta lo punse.

Una zanzara una volta punse un cane.

Una zanzara una volta punse un poeta.

Una zanzara una volta punse il mondo.

Una volta ho punto una zanzara, ma me lo ricordo vagamente.



Troppo

Vomiterò sul ciglio di questa strada senza spigoli, che si muove inesorabile sotto le mie scarpe troppo azzurre e troppo giovani per essere credibili.

Se questo mondo potesse stare fermo, se questo marciapiede tornasse a riunirsi a sé stesso, io vedrei il posto in cui realizzerò mia sosta.

Meta momentanea di un attimo senza futuro.

Il posto della mia esternazione, della mia creazione, della mia rabbia indifesa e sgasata.

Filtro ossigeno dal liquido ma non ho le branchie.

Sto nuotando con un sorriso da imbecille e ne sono pienamente consapevole.

I denti ce li avrò o sono il residuo di qualche sogno precedente?

O un passato inventato per giustificare il sogno corrente?

Mi si gonfiano le guance di aria, e di sconfitta.

Non ha importanza perché non mi guarda nessuno, e pure se mi guardasse credo cambierebbe poco.

Io indosso la maschera di chi non vede il proprio viso e lo ignora.

Io indosso la maschera di chi svela, per una volta, il proprio viso, pur se in condizioni pietose.

Restituisco l’anima a Dio sotto forma di bolle, e guai a lui se me la rispedisce indietro.

Lo so come fate voi :″REGALO, REGALO!! ″ e poi volete un euro, due euro, cinque euro…

l’eternità in valuta europea maneggiata da falsari legalizzati e facce di gommapiuma.

Io non ti ho chiesto nulla, hai fatto tutto tu amico caro, ed ora spostati, vedo il paradiso del vicolo, il mio Nirvana di pietra, con notevoli riflessi violacei.

Pulito di consueta sporcizia.

E così imparo a guardare il sangue del quale si riempiono i miei occhi, mentre li spingo fuori dal cranio, li sputo fuori dal cervello ma sono di gomma appiccicata con cattiveria a ricordi difficili.

Avverto caldo.

Caldo di notte, caldo di morte, caldo cattivo sapore.

Eppure, questi muri, questi rumori lontani, questa umidità, la dignità e la sua privazione.

Non ho paura di sembrare nessuno, o di affidarmi ad una parete che non possieda la certezza di evitare la mia morte.

Burro su carta vetrata.

Poi quando salgo a galla sono capace di udire il mio futuro e poi le loro risa.

Ho un entusiasmo che sbriciola troni di marmo, che fonde l’oro delle corone.

Stupide sporche scarpe azzurre.

Il muscolo cardiaco produce rumori da cinepresa, il prossimo spettacolo sarà l’infinito.

Domani partirò alla conquista del mondo.

Sono pronto a tutto, senza sapere a cosa e vivrò tutto fino a capirlo.

Indosserò scarpe nere che calpesteranno appassionanti menzogne ed intimi orizzonti.

Indosserò pantofole che calpesteranno riflessi e poi depressione.

Quanto sarò incazzato perché avrò perso la capacità di incazzarmi.

E poi farò credere di non dare importanza a nulla, mentre avidamente starò nutrendomi di rarissime emozioni, e sarei capace di bruciare sotto un sole freddo pur di regalarmi il verde nella sua più dolce tonalità.

Ristabilisco passi consapevoli e lenti.

Gli occhi rossi con i quali ritorno indietro, dove qualcuno stranamente mi vuole bene, sorridono.

Domani inizierò a prendermi il mondo, quel mondo che è troppo, per essere poco.



Testo per tutti (dal finale impietoso, però poteva succedere di peggio)

Marco, un imprecisato ragazzo preciso, con un neo sull’addome ed uno più visibile sul mento, stava uscendo dalla palestra.

Quella sera la sua squadra del cuore avrebbe perso con un punteggio impietoso l’incontro di coppa, contro una squadra inglese o spagnola, ma questo ci interessa poco.

Il borsone blu oltremare di Marco squillò.

Estrasse il cellulare dal tascone laterale, quello dove c’era la custodia rigida dei suoi occhiali da miope e dove riponeva l’orologio quando andava a farsi la doccia, ma anche questo ci interessa poco.

Dai fori sul cellulare zampillava la voce della madre di Marco, il nome della quale non ci interessa, però la suddetta donna fa bene le lasagne.

Dopo un pronto ″pronto″ gli chiedeva dove fosse e se avrebbe mangiato a casa quella sera.

Non aveva preparato le lasagne, ma la cena era buona lo stesso.

Marco non sapeva che il suo gatto sarebbe morto il giorno dopo, schiacciato dal camion della frutta.

mercoledì 14 aprile 2010


L’acciaio insistente penetra queste gialle fette di corpo, con un tale ardore, che la sola fame di cibo non basta a giustificarlo.

L’appetito di emozioni immerge questo fotogramma, che spazia dalla crosta calda fino alla ceramica rumorosa, in un contesto superiore.

Come esili alberelli primaverili, che piangono polline nel ritmo sordo di una fiaba orientale.

Le punte di metallo si nutrono della goduria sadica di questa autopsia, ed io vi aggiungo ingordi sorsi di questo sangue a poco prezzo, combustibile dei miei prossimi viaggi di stoffa.

Ed il profumo della terra sulla quale è costruito il pavimento che mi sostiene, afferma che essa non ha un nome, per così facilmente annichilire le distanze di questo mondo fondato sulla cenere e sulla dispersione.

Ed anche i poli di questo pianeta, così ugualmente dissimili, potrebbero azzardare un bacio.

giovedì 1 aprile 2010

il benessere non si compra al mercato...




Forse per paura che digitando su google il mio nome ed il mio cognome, qualche account di facebook riesca a scavalcarmi nei risultati che appaiono nella schermata.
Forse perché il tempo passa in modo inusuale ogni volta che lo si crede prevedibile, e mi viene da ringraziare ogni divinità, anche la più brutta, per questo.
Forse perché è vero quanto ho da dire, che poi stranamente non ho molto da dire, ma molto da fare.
Però la voglia di soffermarsi un momento su un odioso spazio virtuale, che dovrebbe essere di mia proprietà ma che poi non so fino a quanto lo sia, è una cosa talmente rara che quasi riesco ad accostarla al livello di piacere che provo nella cosa stessa.
Per tutti questi motivi e per altri che potrei inventare in questo momento, come ho fatto con i precedenti, naturalmente per aumentare il brodo, mi permetto di postare questo disegno brutto con immenso piacere.
Alcuni arricchiscono di caccole la minestra altrui.
Alcuni attaccano le gomme da masticare sotto i banchi.
Io posto disegni brutti sul mio brutto blog.
Io sono democratico.

Povero me.

Vabbè, facciamola breve, perché ripeto, ho da fare.
Assieme a questo disegno volevo postare un testo lunghissimo e noiosissimo che stavo scrivendo tempo fa, e che avrebbe consentito al lettore di non pensare più alla bruttezza del disegno, di non pensare più alla bruttezza della vita, di non pensare più alla bruttezza personale, di non pensare più alla bruttezza del brutto, ma alla bruttezza e alla lunghezza del testo.
Che qualcosa se è brutto e lungo è ancora più brutto.
Alien è brutto e lungo.
I Tremors sono più lunghi e più brutti di Alien.
Le tenie sono brutte e lunghe.
Per non parlare di Pippo Baudo, dei viaggi con Trenitalia, della fila alla posta per pagare le bollette…
Il testo volevo intitolarlo, a suo tempo “il benessere non si compra come una retina di cipolle” o “un sacco di patate” o giù di lì.



Mi autocensuro uno sfogo che ho smesso di approvare, e dedico poche parole agli eterni portatori sani di malumore, prodotto principe della società contemporanea…


Quando capirete che il tramonto ha una bellezza propria, diversa dall’idea di bellezza che avete acquisito e che volete attribuirgli, sminuendo assieme ad esso tutto un universo di sfumature di un valore stimabile pressappoco quanto l’infinito rispetto alla propria miserabile esistenza, forse quel giorno il sole non sarà più sorto.
Il benessere non si compra al mercato.