lunedì 1 dicembre 2008

Gli scazzi amari iniziano subito




Vi chiederete: "Cos'è questo?"

E' una serie di otto fototessere.

"maddai?!? e chi è quel tipo nelle fototessere?"

Ecco, questa è già una domanda un tantino più appropriata, ve lo racconterò subito.

Tutti sanno che esiste l'uomo di Similaun, l'uomo di Altamura, l'uomo del gas, l'uomo tigre... ecco, lui è l'uomo della macchinetta di Piazza Bologna.
Tutto è successo all'incirca quattro anni e mezzo fa.
Era una giornata calda, di quelle giornate talmente calde che la Peroni due minuti dopo che l’hai comprata diventa un brodo, lasciandoti un retrogusto simile al carciofo, misto ad un estratto di acqua di mare di Ostia, nel punto esatto in cui venti bimbi con la calata romanesca hanno fatto la pipì contemporaneamente.
In quel tempo, nella metro potevi entrare anche senza possedere necessariamente un biglietto. Certo, era una scelta a proprio rischio e pericolo, però si sa che notoriamente i dipendenti dei trasporti pubblici di Roma non hanno tutta questa intramontabile voglia di lavorare, specialmente ad agosto.
E quindi, dopo una giornata passata a girovagare per le strade della capitale, a convincere le zingare che realmente nel mio portafoglio non c’era altro che scontrini e vecchi biglietti del cinema, a dare segni di approvazione al consueto fuori di testa che parla di politica e pasticcini, invece di chiedersi in quale posto recondito fossero finite le sue rotelle, a dare indicazioni sconfortanti ed imprecise a quei geni dei turisti che arrivano da una Germania qualunque a chilometri e chilometri di distanza e tra le migliaia di persone possibili, venivano attraversati dalla felice idea di chiedere informazioni proprio a me, immersi il mio cranio fuso dalle mille, quanto evitabili, pressioni giornaliere nel refrigerio della metropolitana.
Appena attraversato il passaggio per abbonati, quel percorso accanto alla cabina del personale, utilizzato per la maggior parte dei casi da chi, come me, era senza biglietto, mi si schiacciò in faccia con tanta benvoluta potenza, uno di quei refrigeri che ti fanno venire i brividi fin sotto le costole.
Avevo i capelli rasati da poco, eppure immaginavo di averli lunghi come Lorenzo Lamas in “Renegade”, leggiadri e ribelli, con questa impressione di velocità ed intraprendenza che regalava il vento accarezzandomeli e proiettandomeli nel passato, come la scia di un aereo che ha appena oltrepassato il muro del suono… Oppure erano solo le cascate di sudore sulla mia fronte, che cadevano in goccioloni consistenti, e che probabilmente avrebbero rappresentato l’inizio di un difficilmente evitabile raffreddore.
Il viaggio nel vagone passò come nulla: la parte superiore della mia testa era abbandonata all’indietro, come il coperchio del water alzato, la bocca aperta come se per tenerla chiusa ci volesse chissà quale forza di volontà, e gli occhi da tossico dipendente devastato dagli effetti immediatamente successivi di una potente dose di fresco endovena.
Nella stazione metro di Piazza Bologna acquisii una consapevolezza di me stesso e del mondo, oltremodo innaturale, una lucidità mentale che difficilmente ricordo di aver mai raggiunto nella vita senza bere almeno tre birre.
Tutto quello che mi circondava era un’inesauribile fonte di interesse, e su ogni cosa si posasse il mio sguardo superiore e filosofico, io potevo trarne una conclusione dopo un complesso ragionamento non necessariamente utile.
Ricordo di aver pensato che accanto alle macchinette per fare i biglietti, ci avrei visto bene uno di quei distributori di peluches rinchiusi in pallette di plastica, ed avrei disegnato io stesso i diversi pupazzi, magari ispirati al fantastico mondo delle metropolitane: che ne so, il controllore, il tipo con la faccia spenta che si è rotto le palle della vita, quello col giornale, la suora che cerca il contatto fisico tra la folla, il giovane con gli auricolari, il giapponese, e via dicendo…
Una vecchietta mi guardò male perché mi aveva visto troppo preso ad osservare le mattonelle accanto alla macchinetta dei biglietti, ricordo che pensai di poterci inserire anche lei tra i peluches… “la vecchia che non si fa i cazzi suoi”.
Ma ecco che dopo tutta sta storia di cui non ve ne frega nulla arriva il momento cruciale: proprio mentre mi avviavo verso l’uscita della stazione, guardando ancora di qua e di là, la mia mano destra andò istintivamente a frugare nella fessura della macchinetta per le fototessere, quella dalla quale come per magia spuntano fuori le foto che si scattano all’interno.
Qualcosa di lucido e cartaceo venne a contatto con i miei polpastrelli, la presi: era quella serie di otto fototessere che si trova lassù in alto.
Se non ricordo male, neanche mi affacciai a vedere se seduto all’interno ci fosse qualcuno, l’eccitazione mi era salita fino in gola, andando persino a fare a sberle con l’epiglottide, misi la foto nella cartellina dei disegni dentro la mia borsa, ed andai a casa.
Da allora la serie di otto fototessere dell’Uomo della Macchinetta di Piazza Bologna, è appesa in una di quelle cornicette a giorno sotto un rettangolo di vetro, sempre accanto al mio spazio di lavoro.
Mi guarda con disappunto, un po’ con senso di sfida e talvolta con indifferenza.
Lui sa che posso fare tanto, però mi schifa quando non faccio abbastanza, ed io ne sento il peso.
Ho scoperto che non riesco più a disegnare a casa quando non c’è lui appeso al muro, che mi osserva e mi giudica con i suoi sedici occhi, la sua pettinatura d’altri tempi ed il suo abbigliamento che sembra appena alzatosi e non gli va di stare a perdere tempo con me.
Lui conosce un sacco di cose sulla mia persona, io non so nulla di lui, a parte il fatto che se quelle foto servivano per un colloquio di lavoro sarebbe stato scartato, quindi prendendole io, sicuramente, non gli ho causato chissà quali problemi... anzi.
Sono molto affezionato a questo perfetto sconosciuto, perciò ho voluto dedicargli questo spazio sul mio blog “Scazzi Amari”.
Signori e signore, L’UOMO DELLA MACCHINETTA DI PIAZZA BOLOGNA.

novantadue minuti di applausi...